Dal Vangelo secondo Luca (Lc 18,35-43)
Mentre Gesù si avvicinava a Gèrico, un cieco era seduto lungo la strada a mendicare. Sentendo passare la gente, domandò che cosa accadesse. Gli annunciarono: «Passa Gesù, il Nazareno!».
Allora gridò dicendo: «Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!». Quelli che camminavano avanti lo rimproveravano perché tacesse; ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».
Gesù allora si fermò e ordinò che lo conducessero da lui. Quando fu vicino, gli domandò: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». Egli rispose: «Signore, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato».
Subito ci vide di nuovo e cominciò a seguirlo glorificando Dio. E tutto il popolo, vedendo, diede lode a Dio.
Fa parte della nostra vita umana esprimere sentimenti di ammirazione, di gratitudine, di gioia, cantare, esprimere in musica i sentimenti del cuore, rivolgerli a qualcuno… Ancora qualche ragazzo scrive sui muri l’amore per la sua amata, molti mandano sms per dire ti amo, tvb, mi manchi tanto. Questi sentimenti un cristiano li rivolge anche a Dio e li chiama: preghiera. È lode, stupore, ringraziamento per la vita, per i doni che abbiamo, per l’amore che proviamo e che ci viene regalato.
C’è un altro sentimento però che forse si vuol esprimere con più intensità e frequenza: la domanda. Siamo bisognosi, siamo angosciati, ci sentiamo incapaci e allora chiediamo. Domandiamo a Dio di venire in nostro aiuto. Abramo addirittura contrattava con Dio, lottava con lui per strappare benevolenza. Un giorno alla fine di un dialogo in carcere con un mussulmano gli dissi: prega Allah anche per me. Quello dimostrandosi un poco offeso mi rispose: io non prego Allah per te, perché sarebbe come affermare che Lui, il sommo, non conosca ciò di cui tu hai bisogno.
Certo, Dio conosce tutta la nostra vita, sa la nostra sete di bontà, di felicità, di Lui; siamo noi invece che dobbiamo convincerci di aver bisogno di Lui, di dirci con convinzione, sempre che Lui è il centro della nostra vita, siamo noi che dobbiamo convincerci della necessità delle grazie che chiediamo.
Il cieco di Gerico che sente un vociare confuso della folla che gli fa capire che sta passando Gesù, si mette a gridare: voglio la luce, Gesù figlio di Davide ridona alla mia vita la bellezza dei tuoi colori, dei volti degli uomini, lo splendore del creato. Come faccio a vivere, a lodarti, se non vedo le tue opere, se non posso scrutare il volto di chi mi passa accanto? Chi gli stava accanto non ne poteva più, lo sgridava perché era troppo petulante, importuno. Ma adattati alla tua situazione, È una vita che sei cieco, solo adesso non riesci più a sopportare il tuo disagio? Il cieco avrebbe potuto rintanarsi tranquillo nel suo angoletto. Aveva tentato, non gli era andata bene.
Ma che cosa avrebbe significato per lui questo smettere di gridare? Che non aveva fiducia in Gesù. Ma lui ne aveva tanta e si è messo a gridare ancora più forte e Gesù riconosce la sua grande fede, la sua speranza tutta riversata su di lui. E lo guarisce. Abbiamo anche noi questa tenacia nella nostra preghiera o ci stanchiamo prima di cominciare perché siamo senza fede?
Oggi la chiesa ricorda la dedicazione delle Basiliche dei Ss. Pietro e Paolo apostoli in Roma. È un buon momento anche per chiederci se ci stiamo preparando bene al giubileo dell’anno prossimo, se abbiamo in mente di accompagnarci a qualcuno bisognoso di un cammino di fede o di proporlo alle nostre famiglie o compagnie. Un pellegrinaggio ha la capacità di risvegliare la fede.