Dal Vangelo secondo Lc 10,27-38
In quel tempo, un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso». E Gesù: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».
Ma quegli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall’altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all’albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno. Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?». Quegli rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ lo stesso».
Li ha visti forse, in tanti dei suoi viaggi a Gerusalemme. Gesù saliva faticosamente e gli sembrava di volare perché Gerusalemme era la sua gioia, il compimento della sua vocazione. Ce ne sarebbe stata un’ultima di queste salite, quella definitiva della Pasqua del 33. In questi continui suoi viaggi si imbatteva con tanta gente che tornava da Gerusalemme per andare a casa, qualcuno carico di mercanzia, felice di aver comperato e di dare i suoi figli quello che aveva promesso, altri leggeri e contenti perché avevano venduto, si toccavano ogni tanto il loro gruzzolo di danaro guadagnato con fatica, ben nascosto per non farselo rubare.
Scendevano da quella strada anche i pendolari del sacro. A Gerusalemme, il tempio era una grande azienda, molta gente vi era impiegata per i servizi generali, per la custodia, per regolare l’afflusso dei pellegrini, per custodire le offerte, prendersi cura degli animali. Altri, più nobili, quelli della tribù sacerdotale era gente che serviva i sacrifici e faceva i turni dell’incenso, della preghiera e dell’offerta. Gesù li aveva visti passare contenti del lavoro fatto, con negli occhi un po’ di stanchezza, ma anche orgoglio per la lode all’Altissimo ben celebrata, per la preghiera che ne aveva trasformato il cuore.
Ora tornavano a casa e si rimettevano a coltivare i loro affetti i loro obblighi di famiglia. Quella luce che si era accesa nel cuore davanti all’Altissimo, lentamente si spegneva, e forse la vita dura e impegnativa presto la oscurava. Infatti, un giorno due di loro, lo potremmo essere tutti, si imbattono in un poveraccio ripiegato in due sul ciglio della strada. È boccheggiante, ferito, sanguinante: il solito barbone che gira per importunare, che si è preso la lezione che si merita. No, uno sfortunato, che aveva troppi soldi in evidenza e glieli hanno rubati.
Molti di noi siamo pendolari, una categoria troppo debole: spendiamo un sacco di tempo sulla strada e siamo soggetti a tutto: ingorghi, ritardi, persone balzane, ladri, prepotenti; te ne devi sempre aspettare una ogni giorno. Sai quando parti la mattina e non sai come torni la sera. In apertura e chiusura sempre una avventura: la strada. La nostra vita però non è la strada, è il punto di partenza: la nostra famiglia, i nostri amici e il punto di arrivo, il nostro lavoro e di nuovo ancora il luogo del ritorno, stanchi, ma soddisfatti di rimetterci nella serenità e nella gioia della vita che ritorna ad essere nostra. Questo tempo del viaggio è proprio inutile, è da vivere in apnea in attesa che passi. Invece Dio sta proprio lì. Quel ciglio della strada ti scandaglia il cuore e ne rivela la bontà. Il tempio, il contatto con Dio dei leviti, i momenti belli, anche sinceri di preghiera nella pace del convento, le volute di incenso fatte salire per dire la gioia di servire il Signore, per aprire nella vita una finestra di eternità sono in attesa di una autenticazione: il prossimo. I due che ritornano dal tempio scansano l’uomo ferito, ma non s’accorgono che spengono tutte le volute di incenso offerte all’altare. Non si può essere pendolari del sacro, come non si può essere pendolari della vita. La vita e l’incontro con Dio non sono un lavoro 9-12, pausa pranzo, 15-18. È la tua coscienza, la tua umanità che dà sapore anche ai momenti più inutili. Sei sempre tu che vivi, che incontri, che scansi, eviti, ignori o accogli. Non ti volti da nessuna parte, non cambi marciapiede per non inciampare, per non vedere, perché dall’altra parte ci sei sempre tu.
C’è un altro pendolare che si accompagna ai nostri passi distratti, affaticati, svenduti. È un mercante, senza il senso degli affari, senza preoccupazioni di target e di programmi, di profitti e di istogrammi di vendite, di NASDAQ e di MIBTEL. È Lui che si piega sull’uomo ferito, è lui che lo accoglie e lo consola, che non lo vede come un inciampo nella sua corsa veloce all’aeroporto. Lui sa guardare la vita come una continua provocazione a dare significato al tempo e all’amore. Si ferma e non ci abbandona, si carica e si fa carico di noi. Per lui ogni piega della vita è una scommessa. Non è un pendolare del sacro, ma il Signore di ogni voglia di vivere, soprattutto la più flebile e disarmata: è lo stesso Gesù che si è presentato come un samaritano, disprezzato da tutti gli ebrei.
Oggi è la festa della Madonna del Rosario, che ha fatto sempre da samaritano come Gesù. Sarà bene che tutti lo abbiamo a recitare prima di sera per rivivere almeno un tratto della vita di Gesù.