Dal Vangelo secondo Luca (Lc 7, 11-17)
In quel tempo, Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla. Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei. Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!». Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre. Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi», e: «Dio ha visitato il suo popolo». Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante.
Cortei se ne incontrano tanti per le città, più sono grandi, più la gente vi si dà appuntamento per fare dimostrazioni, per proporre le proprie idee, spesso per imporre la propria visione di vita. È naturale che dove c’è maggior concentrazione di persone ci siano anche ricerche di ascolto, di notorietà e spesso anche di verità. Le grandi città sono sempre state incrocio e rielaborazione di pensiero, non sempre di forti personalità, che vengono spesso da paesi piccoli e insignificanti.
Nain nella Palestina, non era una grande città, ma un giorno venne percorsa da due importanti cortei: quello di Gesù, fatto da Lui e da gente che osava sperare, ascoltava la sua parola, ne sentiva il conforto, lo seguiva per non perdere l’annuncio gioioso della salvezza. Era un corteo forse chiassoso, forse osannante, spesso di diatriba con gli scribi, talvolta di incontri pacati, altre volte di riflessione profonda sulla propria vita, come quando Gesù ha detto a tutti coloro che lo seguivano e volevano lapidare la donna, di lanciare sì la pietra, ma a partire dalla propria innocenza, dal proprio cuore pulito.
Un altro corteo però viene incrociato da questo: è un mesto corteo di dolore, di disperazione, di adattamento, di solidarietà buona, ma impotente. Portano a seppellire il figlio unico di una madre vedova. Fanno compagnia a una madre che piange ancora per uno strappo devastante per la sua vita e una solitudine senza significato che le si abbatte addosso. Non le resta che piangere; ha pianto tutta la vita e non ha più lacrime.
Ma incontra Gesù: Lui è la risurrezione e la vita. Il corteo della fede e il corteo del dolore si incrociano, si fanno domande, il pianto è sospeso, la fede è silenziosa e si fa interrogazione sulla vita, diventano un unico corteo stretto dalla morte e dal dolore. Che speranza c’è ancora in questo dolore, Dio dove è? Perché permettere alla morte di accanirsi ciecamente? Sono le domande della vita di tutti i nostri cortei. Non si può non condividere pietà e lamento. Ma Gesù prende per mano il ragazzo morto e lo consegna vivo alla madre. La fede muta di fronte al dolore con Gesù è diventata speranza e certezza, risurrezione e gioia, consolazione e futuro. Tutti i nostri cortei dovrebbero sperare di incontrare Gesù per dar luce alle ricerche e ai dolori, alle attese e alle speranze, per far luce nelle coscienze violente e ridare la forza della pace.
E Dio che non ci abbandona mai, trasforma la vita in un canto di lode sempre, anche nel dolore più forte. Ragazzi e ragazze possiamo fermarci ad ascoltare quell’imperativo che Gesù ripete ancora a tutti voi: ragazzo, ragazza, alzati, sta’ diritto nella tu vita, non ti piegare a niente, stai a un punto della tua vita dove tutto ciò che fai, che pensi le dà un colore di gioia o di noia, le dà un tono di grandezza o di adattamento al ribasso. Vuoi vivere veramente? Vuoi andare controcorrente, vuoi fare della tua vita un capolavoro o vuoi farti clonare, vuoi metterti in fila dietro alle menzogne che ti mettono in testa per toglierti la bellezza del tuo amore, la freschezza della tua vita o ne vuoi fare un dono grande? Gesù è un po’ che t‘aspetta.