Dal Vangelo secondo Luca (Lc 6, 6-11)
Un sabato Gesù entrò nella sinagoga e si mise a insegnare. C’era là un uomo che aveva la mano destra paralizzata. Gli scribi e i farisei lo osservavano per vedere se lo guariva in giorno di sabato, per trovare di che accusarlo. Ma Gesù conosceva i loro pensieri e disse all’uomo che aveva la mano paralizzata: «Àlzati e mettiti qui in mezzo!». Si alzò e si mise in mezzo. Poi Gesù disse loro: «Domando a voi: in giorno di sabato, è lecito fare del bene o fare del male, salvare una vita o sopprimerla?». E guardandoli tutti intorno, disse all’uomo: «Tendi la tua mano!». Egli lo fece e la sua mano fu guarita. Ma essi, fuori di sé dalla collera, si misero a discutere tra loro su quello che avrebbero potuto fare a Gesù.
Di fronte a fatti straordinari noi siamo sempre un po’ scettici, anche se la tendenza di oggi è molto credulona, si lascia attrarre da fenomeni strani. Sta di fatto però che è difficile accettare che avvengano cose contro le leggi della natura. Ne sentiamo spesso parlare, abbiamo negli occhi tanti miracoli di padre Pio, per esempio, ma vorremmo essere stati lì a vedere, vorremmo provare, anche se chi ci racconta è persona credibile abbiamo sempre delle riserve non sulla sincerità, ma sul possibile inganno in cui può essere caduto. Nell’antichità invece era molto più naturale credere a eventi meravigliosi perché si era molto più convinti dell’esistenza di Dio, della realtà soprannaturale, del fatto che a Dio era sempre tutto possibile.
È comprensibile il comportamento degli studiosi della bibbia quando Gesù vincendo la naturale ritrosia di un uomo che aveva una mano inservibile per la sua vita, tutta storpiata e quindi inutilizzabile per il suo lavoro, per la cura di sé, per la normalità di una esistenza, dopo averlo chiamato in mezzo alla sinagoga ben visibile da tutti, gli chiede di stendere la mano davanti a sé perché tutti vedano e gliela guarisce all’istante. Discutevano pieni di rabbia, dice il vangelo, invece di restare meravigliati del prodigio e di ringraziare Dio. Che era successo? Era successo che questo fatto fu compiuto solennemente in un giorno di sabato con tutta la forza di provocare al cambiamento che caratterizzava i gesti di Gesù: il sabato era giorno sacro per l’ebreo, giorno in cui non si poteva effettuare nessuna opera, anche quella di guarigione, gli stessi segni di una salvezza donata da Dio e non opera dell’uomo.
La cosa più importante per loro era vedere se stava agli schemi, non importava farsi domande sui segni che Gesù metteva in evidenza, non interessava loro mettersi in ascolto, ma solo essere severi guardiani di un passato che ingessava il rapporto tra gli uomini e Dio. Il Dio che avevano in mente non si commuoveva per il male di cui soffriva un uomo, ma era più interessato alla legge che stabiliva regole.
La vita di fede deve essere sempre un mettere in discussione le nostre comodità, le nostre caselle che ci siamo costruiti per controllare tutto, anche Dio. Il centro siamo noi, non Lui. Invece Gesù ci ribalta e dice che c’è speranza in una vita vera se ci sappiamo rinnovare nel contemplare la sua vita. Certo noi temiamo di non essere fedeli, di adattare, di accomodare tutto e togliere grinta alla fede. Il nostro vivere, però. non lo stiamo decidendo noi, ma lo Spirito Santo che è in noi, che guida papa Francesco, che ci chiama a non vivere ingessati, ma a impegnare la vita in un continuo ascolto della volontà di Dio che ci aiuta ad affrontare le sfide del mondo moderno, non certo ad adattarci.