Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 3,13-17
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo:
«Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».
Mi piace pensare a Nicodemo come a un giovane che ama la notte. Ce ne sono sempre anche di questi tempi che cominciano a vivere solo di notte. Il giorno è troppo pieno di compromessi, è troppo regolato da altri. Dal giorno bisogna difendersi, mettersi le cuffie, durante il giorno fare l’indispensabile, inserire il pilota automatico. Di notte invece sono io che vivo, che sento le emozioni, che decido di fare quello che voglio, anche di farmi del male, purtroppo. Non ho impegni, non ho compiti, non ho orari. Posso stare con gli amici da cui mi ha separato la settimana, posso sognare in libertà, far uscire quello che devo continuamente tenermi dentro per difendermi. Proprio per questo esce anche il bisogno di bontà, il bisogno di Dio. Nicodemo era forse uno di questi, non riesce più a tenersi dentro tutto; è stufo marcio non ce la fa più a vivere da solo e va da Gesù. Dove sta il segreto della vita? Come posso avere vita piena? C’è ancora una possibilità di non lasciarci morire il cuore? A chi posso alzare lo sguardo per avere davanti qualcosa, qualcuno per cui vivere?
La vita è proprio fatta di continui adattamenti? Mi hai messo in cuore un desiderio così grande e non mi posso adattare alle luci artificiali. I laser che vedo penetrano la notte, indicano con precisione una direzione, ma si perdono nel nulla. C’è qualcuno che sa puntare il laser nella direzione giusta?
E Gesù, che ama la notte di Nicodemo gli dice e dice ancora a chiunque sta cercando: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito, perché chiunque crede in Lui non morirà, ma abbia vita piena, senza fine, al massimo”.
Ma che direzione indica il laser di Cristo? Indica la croce. Sembra un controsenso, ma se guardi alla croce trovi la strada della vita. Se nei tuoi sogni appare la croce, non cancellarli stanno diventando realtà.
La croce è quel simbolo, quel sogno, quell’ideale, quella prospettiva cui ogni uomo può guardare per avere salvezza, per poter avere forza di riscatto, per stringere i denti nel dolore, per contemplare non tanto la sofferenza che esprime, ma l’amore che vi è depositato nella persona del crocifisso. Lì ogni persona, noi nelle nostre pene quotidiane, troviamo avverata la promessa di Dio, guardando a quella croce vediamo realizzata la volontà di amore di Dio che ha tanto amato il mondo da dare il suo Unigenito figlio. Lì Dio si è compromesso fino all’estremo per noi. Lì c’è l’immagine della morte, ma c’è anche la certezza della vita.
Fosse meno un ornamento e più un ideale quel crocifisso che portiamo al collo, che seminiamo nei nostri luoghi di vita comune, avremmo forse più coraggio nell’affrontare la vita, sicuramente molto di più che a guardarci nello specchio. Lo specchio ci può dare compiacimento o delusione, la croce invece è sempre una speranza.
Chi si spingeva fino sulle mura di Gerusalemme quel giorno di Parasceve, quel fine settimana concitato, poteva vedere la morte impietosa di Gesù e di due delinquenti che poco prima avevano disturbato la vigilia della festa e fatto deviare il traffico.
Cala la sera i corpi vengono staccati e sepolti in fretta. “E questi legni dove li buttiamo?”
A pochi metri più sotto quella specie di protuberanza del terreno a forma di cranio, Golgota appunto lo chiamavano, c’è un anfratto naturale.
“Non vorrai usare questi legni come legna da fuoco. Hanno addosso un sangue appiccicoso, una impurità blasfema. Dentro quella caverna li gettiamo. Li abbiamo sempre buttati lì.”
E lontani dagli occhi degli uomini dovettero restare almeno per tre secoli. Le rovine di Gerusalemme sono passate su quei luoghi come un rullo compressore.
L’orrore, la vergogna, il dispetto di avere un fondatore della religione giustiziato su una croce, brucerà ancora per molto nell’immaginario umano, ebreo, greco e romano. Scandalo, pazzia, stupidità, assurdità erano le pietre che continuamente gravavano sulla coscienza e affioravano al sentimento ogni volta che si parlava del Crocifisso. Intanto nella coscienza dei cristiani quella croce diventava un simbolo, un’ancora, una strada necessaria, anche se discriminante.
La regina Elena farà scavare tutta l’area del Calvario e ritroverà la croce. La croce del Signore Gesù non è una vaga, anche se assurda, idea di dolore, non è un sentimento come il dispiacere, un vago senso di pena, ma una vera trave di legno, un oggetto barbaro su cui è stato inchiodato Gesù.
Voi cattolici a che cosa vi attaccate? Diceva un ragazzo sfidando i suoi compagni. Una ragazza gli risponde: Io, in quanto cattolica, in quanto credente, mi attacco a un pezzo di legno, mi afferro ad una mano sanguinante, prendo forza e coraggio per andare avanti dall’annuncio di un giovane: “Colui che era morto non è qui!” Noi oggi vogliamo ancora contemplare Lui su quel legno perché a noi interessa sì la croce, ma soprattutto l’amore di Dio su quella croce.
Ricordiamoci tutti che siamo t apostoli di questo crocifisso. Abbiamo un compito che deve inscriversi nella nostra carne, nel nostro cuore, nel nostro spirito. Tanti cristiani hanno scelto di farsi un tatuaggio indelebile nella loro vita: il crocifisso.
Muhamed un giovane egiziano cattolico insieme alla sua ragazza si sono fatti sui loro corpi i tatuaggi della croce! E dicono, dopo aver visto ammazzati i propri genitori perché cristiani: Perché così devono spellarci per toglierlo. abbiamo un messaggio, che spesso vogliamo far sparire, da ricordare a tutti. Siamo noi che dobbiamo con tutto noi stessi levare nel deserto delle nostre infedeltà e sofferenze questo corpo che guarisce, che salva, che ci orienta a una vita vera. Diceva San Bernardo, Signore farò il giro del cielo e della terra, del mare e delle steppe, mai ti troverò se non sulla croce. Là, dormi, là, pasci il tuo gregge, là ti riposi al meriggio (Ct 1, 7). Su questa croce, colui che è unito al suo Signore canta con dolcezza: «Tu, Signore, sei mia difesa, tu sei mia gloria e sollevi il mio capo» (Sal 3, 4). Nessuno ti cerca, nessuno ti trova, se non sulla croce. O Croce di gloria, radicati in me, perché io sia trovato in te.