Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 4,18-22)
In quel tempo, mentre camminava lungo il mare di Galilea, Gesù vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono.
Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedèo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono.
Siamo buttati nel mondo a caso oppure c’è qualcuno che ci pensa? C’è un destino cieco che determina la nostra vita o possiamo deciderla noi come meglio ci aggrada? Ci industriamo in mille modi per dare alla nostra esistenza la piega che vogliamo noi oppure siamo come il cane legato a un palo che non può andare oltre il cerchio descritto dalla sua catena?
Ci sono momenti in cui ci sentiamo liberi quasi di volare e altri in cui ci sembra di essere perseguitati da un cieco destino. In alcuni momenti ci sembra di essere noi che definiamo la rotta della nostra vita, in altri ci sembra di essere elegantemente ingannati o presi in giro da chi ci governa o da chi ci informa.
Abbiamo a disposizione intelligenza, volontà, cuore, affetti, amici, amore materno e paterno amore di coppia: sono tutte energie che ci aiutano a definire la nostra vita. Ci sono anche agenzie specializzate che ci orientano dove piace a loro, vedi per esempio la pubblicità che imperversa forse troppo. Siamo di fronte a molte opportunità, spesso troppe per cui non sappiamo da che parte voltarci, quale scegliere.
Gesù si colloca in questa vicenda e ci apre una nuova prospettiva dicendo che la vita dell’uomo è risposta a una chiamata. Non c’è nessun destino cieco nella vita, non c’è nessuna fortuna o sfortuna, ma la risposta originale a una chiamata libera.
Gesù era ormai di casa tra quel gruppo di pescatori che ogni giorno incontrava sul lago: giovani, adulti, sposati, garzoni, padroni di una barca. Una vita faticosa, il lago non regalava niente a nessuno, molte notti a gettare reti e a ritirare solo acqua e sassi. Il pomeriggio a ricucire gli strappi, a immaginare il futuro. Gesù era diventato loro amico. Aveva visto nel loro cuore sete di verità, voglia di futuro diverso, desiderio di giustizia, aspirazione alla bontà.
E li chiama! e loro all’istante, dice il vangelo, abbandonano barca, reti, progetti, padre e madre e lo seguono. Sentirsi chiamati a qualcosa di bello, di grande, di pulito è ciò che tutti sogniamo. Solo che siamo distratti e non ci sentiamo interpellati da niente. C’è in tutti una chiamata nella vita. Non siamo fatti con lo stampino, ma in maniera originale; nessuno è generico, non siamo clonati, possiamo sperare di intravedere ciò per cui siamo nati, costruire la nostra risposta originale. Andrea questa risposta l’ha data. È finito come il maestro su una croce, ma come il maestro è nelle braccia di Dio Padre. La sua fede è stata una scuola per tanti uomini e donne, per interi continenti. La “Legenda Aurea” riferisce che Andrea andò incontro alla sua croce con questa splendida invocazione sulle labbra: «Salve Croce, santificata dal corpo di Gesù e impreziosita dalle gemme del suo sangue… Vengo a te pieno di sicurezza e di gioia, affinché tu riceva il discepolo di Colui che su di te è morto. Croce buona, a lungo desiderata, che le membra del Signore hanno rivestito di tanta bellezza! Da sempre io ti ho amata e ho desiderato di abbracciarti… Accoglimi e portami dal mio Maestro». Che sant’Andrea ci aiuti tutti a portare le nostre croci e a non buttarle sulle spalle degli altri, anzi ci aiuti a portare anche quelle degli altri.