Dal Vangelo secondo Luca (Lc 9, 18-22)
In quel giorno, mentre tutti erano ammirati di tutte le cose che faceva, Gesù disse ai suoi discepoli: «Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini».
Essi però non capivano queste parole: restavano per loro così misteriose che non ne coglievano il senso, e avevano timore di interrogarlo su questo argomento.
Incombe spesso sui nostri giorni la paura di qualche evento tragico, tanto siamo abituati alle disgrazie, a sentire cattive notizie, a sperimentare una estrema fragilità della nostra vita. Questo sentimento ci prende soprattutto quando pensiamo a persone care in pericolo.
Gesù viveva una intensa amicizia e godeva di una grande fiducia da parte degli apostoli, che gli si erano stretti attorno e condividevano anche i suoi progetti. Quel giorno che disse loro che doveva essere messo nelle mani di gente che l’avrebbe ucciso si rifiutarono di capire, ma rimase in loro questo sentimento di paura, che veniva ad interrompere la loro spensieratezza e la certezza di aver scelto una strada definitiva per la propria vita. ma non si erano ancora resi conto che la strada definitiva del cristiano passa sempre attraverso la croce.
Loro non lo sapevano. L’avrebbero imparato entro una grande fragilità, che ha provocato la loro fuga. Avevano paura ad affrontare l’argomento croce, come abbiamo paura tutti quando andiamo a visitare gli ammalati e riempiamo la bocca di tante false promesse, di tanti modi di dire e non abbiamo mai il coraggio di passare assieme a chi soffre attraverso il suo dolore dalla parte della speranza, della consolazione vera, della apertura alla morte redentrice di Cristo.
È così anche per noi, per il nostro vivere quotidiano; abbiamo paura di soffrire. Ed è giusto, ma non possiamo perdere la speranza noi cristiani, perché la sofferenza non è mai l’ultima parola sulla nostra vita, come lo è stato per Gesù. Il dolore è un misterioso evento che cambia il nostro cuore, che, mentre fa soffrire, redime, rinnova, dà saggezza e pace. Soprattutto se lo viviamo uniti al dolore di Cristo.
Anche per questo il beato Luigi Novarese, morto 30 anni fa, fondò il Centro Volontari della Sofferenza, tuttora attivo, che fa della malattia, della sofferenza che ne deriva, mai una disgrazia, ma una vocazione ad unirsi e passare assieme alla sofferenza di Gesù Cristo per rendere il mondo più buono, per fare da ponte tra Dio e il mondo in cui l’uomo vivente confrontandosi col mistero della sofferenza, diventa testimone di speranza.