La sofferenza non è una disgrazia, ma una chiamata

Audio del Vangelo

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 8, 27-33)

In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti». Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno. E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».

Audio della riflessione

Tante cose ci sono nel DNA della nostra struttura di uomini e donne di oggi. La voglia di comunicare, la voglia di vivere, la gioia della conquista, l’amore alla bellezza, il sorriso, il dono, l’allegria, la forza della sessualità. Sono tutte cose di cui non possiamo fare a meno. Ma ce n’è una sorprendentemente che si inscrive misteriosamente nella nostra vita, che nessuno vuole, incomprensibile ma sempre puntualmente presente: la sofferenza.

Prima o poi, piuttosto presto che tardi, ciascuno deve fare i conti con il soffrire. Spesso siamo noi stessi che ce la tiriamo addosso col disprezzo della vita nostra e degli altri, con quell’egoismo che baratta amore per avventure, che mette al centro il denaro a tutti i costi, il sopruso.

Altre volte la sofferenza ti arriva addosso nel massimo dell’innocenza proprio perché altri te la infliggono. Molto spesso non riesci a capire il perché, sembra che ci sia un tragico destino che ti perseguita.

Alcune volte una scrollata di spalle ti riconcilia con la vita, altre metti un po’ di più la testa a posto e ti va meglio, ma altre ancora, ed è la situazione più comune, devi convivere con la sofferenza. Ti ribelli, imprechi, rasenti la bestemmia, vai in crisi, piangi, ti arrovelli la mente con mille perché, cerchi consolazione, comunanza con altri, ma la cappa di dolore è sempre lì. Ti ubriachi o ti droghi pure illudendoti di alleviarla, ma poi ritorna puntuale peggio di prima con un’altra catena in più

È questo vivere? Per fortuna non solo, ma il soffrire è lì in ogni spazio di conquista, in ogni sogno, in ogni esperienza d’amore. E Gesù dice: prendi la tua croce e seguimi. Non ti dice te la cancello, te la porto io, ti rendo talmente forte che non la sentirai più. Oppure io ti risolvo il problema. L’unica risposta, se di risposta si tratta, vera al dolore è che Gesù, il Figlio di Dio, nella sua vita è vissuto in un mare di sofferenza, non l’ha evitata, ma ci è passato dentro alla grande. “Ha reso la sua faccia dura come la pietra” ha presentato il dorso ai flagellatori la faccia agli insulti e agli sputi.

L’ha fatta diventare un atto d’amore, uno spazio da abitare con dignità e coraggio, una promessa di risurrezione. Da allora la croce è diventata simbolo di ogni cristiano. Ce l’abbiamo dentro tutti, ma portarla in compagnia di Gesù la apre alla gioia e alla comprensione.

La prima che ha condivisa quella di Gesù è stata Maria, sua madre. Oggi la preghiamo come Addolorata ai piedi della croce, ne vogliamo condividere l’amore fino all’ultimo, perché Gesù ce l’ha data come madre e noi siamo suoi figli.