Dal Vangelo secondo Luca (Lc 6,39-45)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: «Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro. Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello».
Avete mai provato a porre attenzione a come usate i vostri occhi quando parlate con le persone? Quando incrociate i loro occhi? Spesso non riusciamo a sostenere lo sguardo e li abbassiamo, qualche volta li usiamo come lama per fare del male a chi ci sta davanti, come strumento di potere per umiliare o soggiogare, altre volte invece diventano la comunicazione profonda di un amore, di un sorriso, di una comprensione.
Sono dichiarazione di disponibilità; sono la lingua della nostra interiorità, una finestra o, meglio, senza troppo poesia, il video della nostra anima. Non puoi nascondere troppo con gli occhi. Solo i bambini, quando son felici non si stancano di guardarti, di cercare il tuo sguardo, di fissarlo senza problemi. Tra adulti li abbassiamo subito.
Gesù aveva uno sguardo potente, un occhio cristallino, coinvolgente, sapeva guardare le persone; dal suo sguardo nasceva l’amore. “Fissatolo, lo amò” dice il Vangelo di un incontro tra Gesù e un giovane che lo voleva guardare negli occhi e carpirgli il segreto di una vita piena. Gesù lo guardò, ma lui ha abbassato subito lo sguardo, gli stava leggendo dentro un cuore distribuito a brandelli sulle ricchezze che possedeva.
Anche a noi spesso basta guardarci negli occhi per fissare impietosamente l’inganno, la falsità, la meschinità di chi ci sta di fronte. E la tentazione grande è quella del giudizio. Con gli altri siamo tremendamente impietosi. I difetti altrui li fotografiamo da artisti: primi piani, zoomate, particolari, sezioni, visioni dall’alto, dal basso, angolature ardite.
Senza metterci troppo impegno siamo dei lucidi spettatori, ma proprio per questo siamo drammatici attori. Avessimo la stessa lucidità nel guardare la nostra vita, come vediamo quella degli altri, non potremmo più guardare in faccia nessuno, dovremmo girare col bastone bianco o il cane per ciechi. Vedi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non t’accorgi della trave che occupa il tuo.
Ed è da noi che spesso nascono i rapporti sbagliati con gli altri, proprio quando non siamo capaci di verità con noi stessi. Si stende sempre sulla nostra vita come un velo quasi automatico di difesa quando non è una lente deformante, ingannevole, che cambia addirittura i veri colori della nostra vita.
Se ci vedessimo invece con verità scopriremmo la nostra condizione di persone perdonate, ci vedremmo in un debito inesauribile, ma non umiliante, nei confronti della misericordia di Dio. Allora il nostro sguardo sui difetti degli altri diventa condivisione della voglia di limpidezza e aiuto vicendevole per incontrare la bontà di Dio.