Le nostre sono fotografie o sempre pietosi montaggi?

S.Monica – Memoria

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 23,23-26)

In quel tempo, Gesù parlò dicendo:
«Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima sulla menta, sull’anéto e sul cumìno, e trasgredite le prescrizioni più gravi della Legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste invece erano le cose da fare, senza tralasciare quelle. Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello!
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma all’interno sono pieni di avidità e d’intemperanza. Fariseo cieco, pulisci prima l’interno del bicchiere, perché anche l’esterno diventi pulito!».

Audio della riflessione

La nostra è la civiltà della fotografia, del montaggio, del virtuale, della trasformazione della realtà attraverso le immagini. Le immagini ti creano belle emozioni, ti permettono di godere a lungo di momenti che sarebbero fuggenti ricordi, puoi analizzare i particolari, fermare un sorriso, uno sguardo, un sentimento.  

Siamo stupiti di vedere certe fotografie che ti rendono vicino chi non potresti mai accostare, che ti portano in casa avvenimenti che non potresti mai sapere che esistono, ti fanno partecipare a un dolore e a una gioia che definiscono il tuo essere fratello universale. Serie di immagini costruite ad arte però possono portare all’inganno.  

Le chiamano appunto fiction, finzioni, rappresentazioni mirate della realtà o della fantasia, simboli del reale, spesso creati per trarre in inganno, non per comunicare, ma per soggiogare, per vendere. E nel gioco entra anche la vita delle persone che fanno consistere l’esistenza nell’apparire e non più nell’essere. Quello che conta è l’immagine, non più la coscienza.  

Gesù nel vangelo lancia una serie di “guai” a gente proprio come questa, che guarda alla forma esteriore, cura l’immagine, e nasconde una interiorità di peccato, di ingiustizia, di male.  La vita è un bicchiere pulito ed elegante all’esterno, un piatto sfavillante, che dentro si porta rapina e intemperanza. È un invito a dare all’interiorità, alla sorgente del misterioso, ma vero, necessario, intenso rapporto con Dio che è la coscienza il posto decisivo.  

È lì nel profondo di un dialogo dell’anima con Dio che nasce la dignità e la nobiltà dell’uomo, la disponibilità alla sua Parola che è come spada a doppio taglio che penetra nell’intimo e dirime il bene dal male. La coscienza non è una piazza, non è una fiction è la tua identità di fronte a Dio e deve diventare la tua vera faccia di fronte a tutti gli uomini. Non è rifugio nell’intimità, ma coraggio di partire dall’interno di giustizia e di pace per diffondere ovunque, soprattutto all’esterno, anche nelle immagini, anche nelle fiction ciò che veramente abita nel cuore dell’uomo. Ci fosse più attenzione alla coscienza, cambierebbe anche tutto il mondo comunicativo con le immagini, che sono una faccia dell’anima, non la maschera del cuore e della verità. Qui nel profondo della coscienza c’è sempre quel Dio che non ci abbandona mai.  

Ricordiamo e preghiamo volentieri santa Monica la mamma tenace, decisa, perseverante che nella preghiera seppe dare luce a sant’Agostino perché accettasse la voce di Dio che lo chiamava e non lo lasciava mai a sé stesso e divenne cristiano e dopo la morte di mamma Monica a Ostia divenne prete e vescovo di Ippona.