Date a me la morte e lasciate la vita a questo papà di famiglia.

S.Massimiliano Maria Kolbe, martire – Memoria

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 18,15-20)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano.
In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.
In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».

Audio della riflessione

Essere cristiani non è mai stata una esperienza da single. È importante la coscienza personale, la libertà di decisione. Sei tu che sei chiamato non il tuo gruppo o la tua famiglia. È verissimo che occorre partire sempre dalla propria libertà personale. Sono finiti i tempi in cui si diventava cristiani perché lo erano tutti quelli del nostro ambiente, paese, città, famiglia, anche se la cultura ha il suo influsso sempre, e così le tradizioni. Ma quello che è assolutamente sempre vero è che la fede non è un fatto privato, non si chiude nella coscienza, non si isola dal mondo. Non si può essere cristiani senza creare relazioni positive con gli altri, non si può amare Dio se non si ama il prossimo.  

Essere credenti in Cristo esige aprire la propria vita a una relazione di bontà con gli altri. Proprio perché la fede è un atto d’amore e l’amore è vero se non termina su sé stessi, ma si apre all’altro. Ecco allora i tanti insegnamenti del vangelo sulla necessità dell’amore a Dio e al prossimo contestualmente, del vivere uniti per chiamare nell’esistenza la presenza di Dio. Dove sono due o tre riuniti nel mio nome lì ci sono io. Ci si domanda spesso, dove sta Dio? Ci aiuta? È a noi vicino? Il modo più sicuro per sperimentare la sua presenza è stare assieme nel suo nome e lì c’è Lui. Le nostre comunità cristiane allora diventano palestre di comunione, anche se è la comunione più impossibile perché ci stiamo tutti noi con le nostre divergenze, i nostri difetti, le visioni opposte di vita, le condizioni contrastanti. Eppure, Dio fa il miracolo di tenerci assieme, come ha tenuto assieme gli apostoli, i primi cristiani, popoli barbari e civili, potenti e deboli, schiavi e liberi. 

Spesso la nostra testimonianza non è compresa dal mondo perché viviamo disuniti, perché non siamo capaci di mostrare il dono dell’unità. Se non siamo capaci di stare uniti nel suo nome, lui non c’è, non può starci, è contrario al suo stesso essere; siamo noi che lo buttiamo fuori. Come è bello che i fratelli vivano assieme diceva il salmo, è un unguento sulle nostre ferite, un balsamo per la nostra cattiveria, una speranza per le nostre solitudini, una certezza della sua presenza tra noi. 

 La Chiesa ricorda oggi il martirio di un grande santo polacco, grande devoto della Madonna e grande imprenditore di stampe per la gente, costruttore geniale di una città editoriale, san Massimiliano Kolbe, fatto morire ad Aushwitz in sostituzione di un padre di famiglia condannato a morte. Si offrì per lui nel pieno delle sue capacità mentali, come atto di dono della sua vita. In genere li ammazzavano tutti e due, invece quel padre di famiglia fu salvato.