Sacratissimo Cuore di Gesù, un Cuore squarciato per amore

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 15,3-7

In quel tempo, Gesù disse ai farisei e agli scribi questa parabola:
«Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova?
Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”.
Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione».

Audio della riflessione

Tanta nostra infelicità è dovuta all’appiattimento, alla prigione che ci siamo costruiti. Ci siamo collocati in un bicchiere d’acqua e continuiamo a sbattere contro le pareti, mentre il nostro vero habitat è il vasto mare della vita che viene dall’alto, dal misterioso mondo di Dio. C’è un vento dello Spirito che soffia su di noi e dà vita vera. La creazione lo ha atteso, Gesù lo ha inviato. Abbiamo bisogno di un’anima per tutte le cose. Quest’anima viene dall’alto. La risurrezione ha aperto i nostri confini, ha offerto gli orizzonti infiniti di quel Dio che anche in questo non ci abbandona mai.

La festa del Sacro Cuore ci permette di addentrarci in un dialogo serio con il Signore Gesù come hanno fatto tanti; abbiamo bisogno di ritornare a casa, di sentirci trasportati sulle spalle del buon Pastore. Dove vai? Dove scappi? Non ti accorgi che scappi da te stesso. Che vita ti stai preparando, che dolori vai a creare a tutti quelli che ti stanno vicini? Ti vengo a prendere io. Fatti trovare, le novantanove pecorelle che stanno a casa si sono dimenticate di te, ma non io.

Anche noi abbiamo bisogno di rigenerare la nostra fede. Il nostro è un tempo che ci chiede di uscire allo scoperto, di prendere decisioni, di stare della parte della verità, di contemplare il Signore, ascoltare la sua parola. Ci possiamo domandare: come mai ci sono stati anni in cui la nostra vita cristiana è implosa, anziché esplodere? Forse perché non abbiamo contemplato, ma solo organizzato o custodito, abbiamo dato alla preghiera il significato solo di un compito da fare.  Non ci vogliamo più nascondere nessuna delle domande profonde di umanità, dobbiamo percepire la sete dell’uomo di oggi, constatare il fascino di un mondo male orientato; oggi c’è una pervasività  del male e delle tenebre da cui ci siamo lasciati incantare. Occorre tornare e sbilanciarci dalla parte della luce. Il primo nostro scopo è di contemplare. Vogliamo scavare in profondità, per far emergere tutte le riserve umane che nascono nei confronti della fede, del mondo religioso, della nostra appartenenza alla chiesa.  Abbiamo bisogno di rendere possibile l’ascolto, il confronto, lo studio, l’incontro con Gesù, nel silenzio del raccoglimento o nella ricerca comune, nella preghiera o nel dialogo. I nostri nonni, i nostri avi, ci hanno passato il testimone della fede, che nei secoli hanno tenuta viva e ce l’hanno tramandata, hanno creato esperienze di vita cristiana, hanno affrontato la vita con la speranza del Signore risorto. Vogliamo guadagnarci una nuova adesione, anche sofferta, ma decisa e felice alla vita di fede. Vogliamo confessare che Gesù è il Figlio di Dio. Dobbiamo tornare da Gesù a dire quel “Mio Signore e mio Dio”, dell’affidamento, della preghiera, della celebrazione, della vita sacramentale, dell’accostamento ai tesori della Chiesa.

Allora la Chiesa prenderà nuovo slancio, la nostra comunità diventerà casa abitabile da tutti, soprattutto dalle giovani generazioni, che sono sempre non il nostro presente ma anche il nostro futuro.